La discesa dal Nyika lungo la M9
Dopo giorni trascorsi sul fresco altopiano del Nyika National Park, arriva il momento di scendere verso nord. La strada che si apre davanti a noi non è una semplice pista: è una vera transizione geografica e climatica. La M9, che taglia il confine settentrionale del parco, si snoda tra colline e vallate boscose prima di precipitare verso la Rift Valley. Negli anni ’90 era un percorso duro e polveroso, con tratti dissestati che mettevano a dura prova i fuoristrada. Oggi, pur con qualche miglioramento, resta una pista lenta e scenografica, ideale per chi ama i viaggi senza fretta.
La discesa dal plateau è un viaggio sensoriale: l’aria frizzante e pungente del Nyika lascia spazio a un caldo opprimente, il verde delle praterie si dissolve in macchie secche di miombo, e le valli agricole si popolano di villaggi dove la vita scorre al ritmo dei campi di mais e tabacco. Ogni curva porta più vicino al Lago Malawi, che si riapre come una distesa azzurra sull’orizzonte.

Karonga: città di confine tra passato e futuro
L’arrivo a Karonga segna il ritorno alla Rift Valley e al lago. Negli anni ’90 era poco più che un centro polveroso, importante solo per il suo ruolo di snodo commerciale e doganale sulla strada per la Tanzania. Il mercato, vivace e caotico, era il cuore della città: qui si poteva trovare di tutto, dal pesce essiccato del lago alle biciclette di seconda mano provenienti da Dar es Salaam.
Oggi Karonga ha conosciuto uno sviluppo inatteso. Le strade principali sono asfaltate, i negozi più moderni e, soprattutto, la città è diventata famosa per il Karonga Museum, che espone i fossili di un gigantesco dinosauro scoperto negli anni 2000 nei dintorni: un titanosauro vissuto circa 100 milioni di anni fa. Accanto a questo tesoro paleontologico, il museo racconta anche la storia più recente della regione, legata al commercio, alla tratta degli schiavi e alle culture che da secoli attraversano il lago.
Karonga resta comunque una città di confine, vivace e un po’ disordinata, dove i camion in fila per la dogana convivono con il porto dei pescatori e con la quotidianità dei mercati. È una tappa di passaggio, ma offre spunti per comprendere meglio la storia e la geologia del Malawi settentrionale.
Verso Mbeya: l’altopiano tanzaniano

Lasciamo Karonga all’alba, quando una leggera foschia vela ancora il lago e il mercato non si è del tutto risvegliato. La strada verso nord corre piatta, fiancheggiata da villaggi e campi coltivati. Le biciclette cariche di sacchi di carbone, i carretti trainati da buoi e i camion stipati di merci creano una lenta processione verso la frontiera. Al confine di Songwe ci attende la consueta trafila: file di camion interminabili, documenti da compilare, controlli che sembrano dilatarsi senza fine. È la ritualità di ogni passaggio di frontiera africano, sospesa tra pazienza e disordine.
Al di là del ponte, la Tanzania si presenta diversa. La strada appare più ordinata, le colline si alzano e il verde si fa intenso. L’aria diventa più fresca man mano che si sale di quota, tra curve che mettono alla prova i motori e panorami che si aprono su vallate coltivate. Dopo molte ore di viaggio arriviamo a Mbeya, la porta degli altipiani meridionali. Nel 1994 ci appariva come una tipica città di frontiera: vivace, affollata e un po’ caotica, frequentata da camionisti in rotta per Dar es Salaam e viaggiatori diretti verso i parchi del centro. Un luogo di transito più che di sosta, utile per rifornirsi e riprendere fiato.
Oggi Mbeya conserva il suo carattere di crocevia, ma con un volto più definito. È diventata un importante centro economico e amministrativo della Tanzania sud-occidentale, collegata da strade asfaltate e dalla storica linea ferroviaria TAZARA, che unisce Dar es Salaam a Kapiri Mposhi, in Zambia. Non è una città turistica nel senso classico, ma è un punto obbligato per chi viaggia in questa parte di Africa: da qui le strade si diramano verso il Parco Nazionale di Ruaha, il lago Rukwa o gli altipiani meridionali. Guesthouse, banche, supermercati e stazioni degli autobus offrono oggi un minimo di comfort che nel 1994 sembrava impensabile.
Il Ruaha National Park: la Tanzania più selvaggia
Arrivare al Ruaha National Park significa entrare in una delle ultime grandi frontiere naturali dell’Africa orientale. Con i suoi oltre 20.000 km², è oggi il secondo parco più grande della Tanzania e uno dei più vasti del continente, ma a differenza dei celebri Serengeti o Ngorongoro non è mai stato invaso dal turismo di massa. Le distanze, le piste impegnative e la sua posizione remota ne hanno preservato il carattere intatto, rendendolo una destinazione per chi cerca il contatto diretto con un’Africa primordiale.
Il paesaggio è dominato dal fiume Great Ruaha, che attraversa il parco con le sue anse sinuose e diventa un magnete per la fauna. Nella stagione secca, da giugno a ottobre, le sue sponde si trasformano in un teatro naturale: branchi di elefanti – la popolazione più numerosa della Tanzania – scendono a bere, mentre leoni e leopardi si appostano in attesa delle prede. Non è raro assistere alle scene di caccia dei grandi predatori o osservare i branchi di licaoni, tra i più consistenti rimasti in Africa.
La varietà faunistica è impressionante: oltre ai predatori, il parco ospita più di 570 specie di uccelli, mandrie di bufali, giraffe, kudu maggiori, eland, sable antelope e facoceri. Durante la stagione verde, tra novembre e aprile, il paesaggio cambia volto: le pianure si colorano di fiori, gli uccelli migratori arrivano dall’Eurasia e il Ruaha si trasforma in un paradiso per i birdwatcher.
Oltre alla natura, il parco conserva anche una dimensione culturale. Qui vivono comunità locali come i Barabaig e gli Hehe, pastori e agricoltori che da secoli abitano queste terre e che ancora oggi mantengono tradizioni di grande valore antropologico. Alcuni lodge organizzano visite culturali per incontrare queste popolazioni, aggiungendo un tassello umano al viaggio.
Pernotto al Ruaha River Lodge
Il nostro approdo nel Ruaha, nel 1994, fu il Ruaha River Lodge, allora una delle pochissime strutture ricettive all’interno del parco. Sorto su un kopje roccioso che domina una lunga ansa del fiume Great Ruaha, il lodge era giovane e gestito direttamente dal suo fondatore, Chris Fox, che con la sua presenza cordiale e attenta dava all’ambiente un’atmosfera familiare. Le sistemazioni erano semplici: bungalow in pietra con tetti di paglia, elettricità limitata, acqua calda scaldata da caldaie a legna. Ma la posizione era unica: bastava affacciarsi dalla veranda per vedere gli elefanti scendere a bere, ascoltare i richiami notturni delle iene e percepire la savana che respirava attorno.
Oggi, nel 2025, il Ruaha River Lodge è diventato un’istituzione. Non più avamposto pionieristico, ma struttura consolidata che offre comfort medio-alti senza tradire lo spirito originale. I bungalow sono stati rinnovati, dotati di bagni privati e terrazze panoramiche, e l’organizzazione è più raffinata: safari in jeep, passeggiate a piedi lungo le rive, cene a lume di candela con vista sul tramonto africano. Attorno al parco sono nati lodge esclusivi e lussuosi, ma il Ruaha River Lodge conserva il fascino della “prima casa” dei safari qui, il luogo dove tutto è iniziato.

Quello che non cambia è la scenografia: il fiume Ruaha, che scorre lento tra sabbie dorate e pozze profonde, i baobab che si ergono come guardiani silenziosi, i branchi di elefanti che al calare del sole si radunano davanti al lodge. Ieri come oggi, il River Lodge regala la sensazione di vivere dentro la savana, senza filtri, con la natura che si muove libera a pochi metri dalla veranda.
Il viaggio attraverso Malawi e Tanzania ci ha condotti fino al cuore selvaggio del Ruaha, dove la savana respira ancora intatta e gli elefanti dominano il fiume. Ma l’avventura non finisce qui: nuove strade, parchi remoti e incontri sorprendenti ci attendono lungo la rotta verso nord.
👉 Continua a seguirci nei prossimi articoli: ti porteremo oltre i confini del turismo di massa, in luoghi che custodiscono l’anima più autentica dell’Africa.
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