Lasciata la riserva di Nkhotakota, la marcia verso nord non è solo un tragitto, ma una trasformazione graduale. La strada corre inizialmente lungo la riva del lago, tra palmeti e villaggi di pescatori, con il riflesso dell’acqua che accompagna lo sguardo. Poi, chilometro dopo chilometro, il paesaggio cambia: il blu del Malawi scompare dietro le colline e l’aria si fa più calda, quasi immobile.
È un itinerario che alterna contrasti: pianure aride dove il sole batte implacabile, piccoli corsi d’acqua che diventano oasi improvvise, e vaste zone di miombo che coprono l’orizzonte con un verde compatto. Ogni curva introduce una nuova atmosfera: dal canto acuto degli uccelli lungo le zone umide ai richiami lontani dei pastori che conducono le mandrie verso l’entroterra.
Nkhata Bay: capitale del turismo lacustre
Arrivare a Nkhata Bay, negli anni ’90, significava confrontarsi con un’immagine inaspettata. Molti la descrivevano come la cittadina più pittoresca del Malawi, quasi un piccolo paradiso tropicale. In realtà lo spettacolo che accoglieva il viaggiatore era ben diverso: il lago scintillava al sole, le barche di legno ondeggiavano leggere, ma le stradine polverose e le baracche sulla riva raccontavano un’altra storia, fatta di vita quotidiana e di un porto caotico. Era qui che i pescatori riparavano le reti, i bambini correvano curiosi verso gli stranieri e il mercato brulicava di voci, odori e contrattazioni. Non un “caraibi africano”, ma un luogo autentico, dove il lago era lavoro, fatica e condivisione.

Trent’anni dopo, Nkhata Bay ha cambiato volto. È rimasta uno dei principali porti del lago, ma si è trasformata anche in un centro accogliente per viaggiatori e backpacker. Le baracche hanno lasciato spazio a guesthouse colorate, lodge panoramici e bar affacciati sull’acqua, dove sorseggiare una birra fresca al tramonto è diventato un rito. Oggi la cittadina viene definita la capitale informale del turismo lacustre: ristoranti che servono tilapia e usipa alla brace convivono con centri immersioni, escursioni in kayak e gite in barca per osservare l’aquila pescatrice in azione.foto
Il porto rimane il cuore pulsante della città. Da qui parte la storica MV Ilala, il traghetto che da decenni solca le acque del Lago Malawi collegando villaggi e isole. Attorno, i mercati hanno perso un po’ della loro confusione originaria, ma conservano il fascino delle contrattazioni lente, dove accanto ai pesci stesi al sole compaiono telefoni cellulari, ricariche prepagate e oggetti moderni.
Vwaza Marsh Wildlife Reserve
Lasciata la costa del lago, la strada piega verso l’entroterra e raggiunge Kazuni, un piccolo insediamento adagiato accanto al Lake Kazuni, lo specchio d’acqua che fa da cerniera alla Vwaza Marsh Wildlife Reserve. Qui il paesaggio cambia tono: le praterie umide e i boschi di mopane e miombo si aprono su una laguna quieta dove, nelle ore più calde, affiorano i dorsi scuri degli ippopotami e gli elefanti scendono a bere, soprattutto nella stagione secca. Il lago si trova proprio vicino all’ingresso principale della riserva, ed è il punto dove la fauna si concentra in modo più spettacolare, con avvistamenti regolari di ippopotami e grandi mandrie di elefanti, oltre a un avifauna ricchissima che include aironi goliath, cicogne becco-aperto e rarità legate agli ambienti umidi.

Intorno al lago sorge il Kazuni Safari Camp, base semplice ma scenografica affacciata sull’acqua: al tramonto, mentre i babbuini rientrano dai boschi e i marabù si posano sulle sponde sabbiose, l’atmosfera ricorda la Vwaza “di una volta”, con il vantaggio di piste meglio tenute e collegamenti più frequenti verso il vicino Nyika National Park. La riserva resta comunque poco battuta, soprattutto fuori stagione, sia per la viabilità non sempre prevedibile sia perché una parte della megafauna migra attraverso il confine con lo Zambia, rendendo ogni visita diversa dalla precedente. Negli ultimi anni sono partiti progetti di co-gestione e conservazione che puntano a migliorare infrastrutture e tutela, preservando però il carattere discreto di questa zona umida di frontiera.
Verso l’altopiano: la salita al Nyika
Dalla Vwaza Marsh Wildlife Reserve non puntiamo a Rumphi, come fanno la maggior parte dei viaggiatori diretti all’ingresso ufficiale del parco, ma scegliamo una via diversa, lungo la M9 che attraversa villaggi minori come Zunguza e Mwazizi. È una strada meno battuta, segnata da tratti sterrati e ponticelli improvvisati, che nel 1994 metteva davvero alla prova mezzi e viaggiatori. Le mappe erano scarse, i cartelli quasi inesistenti: ci si orientava seguendo le indicazioni della gente del posto, tra sorrisi e gesti che sostituivano le parole.
La pista comincia a salire lentamente, insinuandosi tra colline coltivate a mais e tabacco, dove il paesaggio agricolo si alterna a lembi di foresta. La sensazione è quella di penetrare un mondo remoto, lontano dalle rotte principali. Oggi la M9 è più riconoscibile sulle mappe, ma conserva lo stesso carattere isolato: poche auto, qualche camion sgangherato, e la vita dei villaggi che scorre al ritmo delle stagioni.
Man mano che si guadagna quota, l’aria diventa più fresca e il panorama si apre: il Nyika Plateau si annuncia con praterie ondulate, fiori selvatici e una luce cristallina che amplifica l’orizzonte. È un accesso meno noto e più lento, ma proprio per questo regala la sensazione autentica di un’Africa ancora intatta, in cui l’altopiano appare come una scoperta improvvisa, sospesa tra cielo e terra.

Il Nyika National Park: un’Africa diversa
Arrivare sul Nyika Plateau significa scoprire un’Africa che sorprende e spiazza. Dopo giorni tra savane, villaggi polverosi e laghi immensi, l’altopiano a oltre duemila metri d’altitudine si apre come un paesaggio inaspettato: colline ondulate, prati verdissimi, cieli sterminati che ricordano le Highlands scozzesi più che l’Africa subsahariana. L’aria è frizzante, a volte pungente, e la luce sembra amplificare i contorni delle vallate, regalando panorami infiniti.
La biodiversità del Nyika è il suo vero tesoro. Nella stagione delle piogge l’altopiano esplode in una tavolozza di colori grazie alle oltre 120 specie di orchidee selvatiche che fioriscono tra felci, eriche e fiori di campo. Le praterie sono animate da grandi mandrie di roan antelope, tra le antilopi più imponenti e rare del continente, affiancate da eland, zebre e gruppi di reedbuck. Gli appassionati di birdwatching trovano qui un santuario: più di 250 specie di uccelli popolano l’altopiano, tra cui la gru coronata, il francolino dalle ali rosse e rapaci che volteggiano sopra le creste erbose. Nei boschi, più discreti ma affascinanti, vivono anche leopardi e iene maculate, predatori che rendono il Nyika un ecosistema completo e ancora autentico.

Il fascino del parco non è solo naturalistico. L’altopiano porta con sé un’aura coloniale: durante l’epoca britannica era considerato un luogo ideale per la caccia grossa e per i soggiorni dei funzionari, attratti dal clima mite e dai paesaggi che ricordavano le campagne europee. Tracce di quel passato sopravvivono a Chelinda, cuore del parco, dove chalet in pietra e lodge con camini accesi rievocano atmosfere d’altri tempi. Negli anni ’90 il campeggio era spartano, con acqua scaldata a legna e un fuoco acceso per scaldarsi contro il gelo notturno. Oggi Chelinda offre cottage e sistemazioni più confortevoli, senza però tradire l’atmosfera isolata di un rifugio sospeso tra Africa e Europa.
Il Nyika rimane, ancora nel 2025, una destinazione lontana dal turismo di massa. L’accesso è lungo e impegnativo, le strade richiedono pazienza e mezzi robusti, e questo è forse il segreto della sua magia. Chi arriva fin quassù trova un’Africa inattesa: un altopiano che custodisce la sua diversità naturale e culturale, dove i tramonti incendiano le praterie e la notte cala con un silenzio assoluto, rotto soltanto dal richiamo di un gufo o dal bramito distante di un’antilope. Un luogo che ricompensa la fatica del viaggio con la sensazione rara di essere in un mondo ancora intatto.
Arrivo e pernotto al Chelinda Campsite
Dopo ore di pista, la salita ci porta finalmente al cuore del Nyika Plateau. La luce del tardo pomeriggio si adagia sulle praterie ondulate e il vento, più fresco man mano che guadagniamo quota, annuncia l’arrivo a Chelinda, il campo base dell’altopiano. Qui, a oltre 2.200 metri di altitudine, il paesaggio non somiglia più all’Africa che ci si aspetta: pini, colline morbide e vallate che si perdono all’orizzonte evocano scenari europei, ma basta un’occhiata alle zebre o agli eland che pascolano a pochi metri per ricordarsi che siamo nel cuore del Malawi.
Circa trent’anni fa il Chelinda Campsite era già noto per il suo fascino spartano: piazzole con ripari in legno e tavoli da picnic, servizi essenziali ma curati, acqua calda riscaldata a legna e un forno comune che radunava i viaggiatori attorno al fuoco. Le notti erano fredde, spesso avvolte da quella nebbia sottile che ricopre il plateau, e il camino acceso era un compagno indispensabile. Il campeggio trasmetteva un’atmosfera sospesa nel tempo, quasi coloniale, come se gli anni ’50 non fossero mai finiti.
Oggi il Chelinda resta l’unico campeggio ufficiale del parco e mantiene la stessa identità semplice e autentica. Le piazzole sono poche e distanziate, dotate di grandi bracieri e tavoli in legno, e le abluzioni funzionano con i tradizionali donkey boilers che scaldano l’acqua con fuoco vivo. Non c’è elettricità, e quando il sole cala il campo si illumina solo con le fiamme dei fuochi e la volta stellata che si apre sopra le colline. Dal campeggio partono piste per safari self-drive o escursioni a piedi con guida, tra mandrie di antilopi roane, branchi di zebra endemica e una delle più alte concentrazioni di leopardi dell’Africa centrale.
Il clima resta fresco tutto l’anno: le notti possono scendere sotto lo zero anche nei mesi secchi, mentre le giornate regalano cieli limpidi e ventosi che permettono di spingersi con lo sguardo fino al confine con lo Zambia. L’accesso rimane impegnativo — oltre cinquanta chilometri di sterrato dall’ingresso meridionale, due ore abbondanti di guida 4×4 — ma è proprio questa distanza dal mondo a custodire l’essenza del Nyika.
Un risveglio diverso: a cavallo tra le praterie del Nyika

Il mattino al Nyika non è mai uguale al precedente. Dopo il fuoco acceso della sera e il freddo pungente della notte, l’altopiano si risveglia avvolto in una luce cristallina che invita a esplorare. Qui non ci si limita al classico safari in auto o a piedi: tra le attività più insolite c’è la possibilità di andare a cavallo nelle praterie, un’esperienza che permette di avvicinarsi alla fauna selvatica in modo silenzioso e naturale.
In sella, il ritmo del viaggio cambia. Le zebre osservano curiose senza fuggire, gli eland continuano a brucare indisturbati e gli stormi di uccelli si alzano in volo al solo rumore degli zoccoli. Nei pressi di Chelinda un maneggio, gestito da un inglese con una scuderia numerosa, offre cavalli ben addestrati e accompagna i visitatori attraverso colline che evocano più il Canada o la Scozia che l’Africa centrale. È un contrasto che sorprende e affascina: trovarsi a cavalcare tra antilopi e orchidee selvatiche, in un paesaggio che sembra uscito da un altro coinfntinente.
Il nostro viaggio non si ferma qui. Dopo le praterie infinite e i cieli del Nyika, la nostra rotta punta ancora più a nord, verso nuove riserve, villaggi e paesaggi che svelano un Malawi diverso, lontano dalle rotte turistiche.
👉 Continua a seguirci nei prossimi articoli: scopriremo strade dimenticate, incontri sorprendenti e luoghi che raccontano l’anima autentica dell’Africa. L’avventura è appena cominciata.
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