Al mattino, il porto di Mpulungu è già in fermento. Sulle banchine si accatastano sacchi di mais, casse di birra Mosi, reti da pesca, biciclette e galline, tutto in attesa di essere caricato. L’aria è impregnata di odore di gasolio e pesce essiccato, e tra il fumo dei motori compare lentamente la sagoma inconfondibile della MV Liemba, la nave più anziana ancora in servizio in Africa.
Partire, a Mpulungu, non è mai una questione di orario. In Africa, dicono, il tempo scorre secondo altre regole — e al porto questo principio è legge. Ogni volta che chiediamo quando salperà la nave, otteniamo la stessa risposta, accompagnata da un sorriso: “Solo Dio e il capitano sanno quando la Liemba lascerà il porto.”
Le ore scorrono tra voci, carichi e contrattazioni. Ogni volta che sembra tutto pronto, un nuovo camion arriva con altre casse, altre reti, altri passeggeri. Finché ci sono merci da imbarcare, non c’è alcuna possibilità di partire. Così ci sistemiamo con pazienza nelle nostre cuccette spartane, piccole cabine di metallo con letti a castello e materassi consunti. Non è una nave da crociera, ma un traghetto popolare, dove turisti, mercanti e famiglie viaggiano fianco a fianco.
Il sole cala lentamente dietro le colline dello Zambia. Quando finalmente la sirena della Liemba rompe il silenzio, è già notte. Il porto si anima un’ultima volta: grida, corse, fischi e risate. Poi la nave si stacca dal molo e scivola sull’acqua scura del Tanganica, mentre il rumore del motore copre ogni voce. La traversata può cominciare, e con essa il viaggio dentro un’altra dimensione del tempo.

Sul lago Tanganica con la MV Liemba
La MV Liemba risale lentamente la costa occidentale del Tanganica, seguendo il confine invisibile tra Zambia, Congo e Tanzania. Lungo la rotta si susseguono villaggi e approdi remoti: Kasanga, Kipili, Nsumbu, piccoli insediamenti di pescatori che sembrano sospesi nel tempo. L’arrivo della nave è un evento: bambini che corrono sul molo, donne che offrono frutta e pesce secco, uomini che scaricano casse in equilibrio sulle spalle.
Nel 1994, ogni scalo era una scoperta. Non esistevano moli veri e propri: le barche locali si accostavano alla Liemba per caricare e scaricare persone e merci, in una coreografia caotica e affascinante. A volte la sosta durava pochi minuti, a volte ore intere, mentre il capitano attendeva che tutte le operazioni fossero completate. Le notti erano lunghe e silenziose: il lago, profondo oltre 1.400 metri, rifletteva il cielo come uno specchio, e il ronzio costante del motore accompagnava i pensieri dei viaggiatori.
Oggi, la Liemba è ancora in servizio — un’anomalia vivente, un pezzo di archeologia navale che continua a muoversi nel XXI secolo. La traversata da Mpulungu a Kigoma, sulla sponda tanzaniana, richiede due o tre giorni, a seconda delle soste e delle condizioni meteo. Gli interni sono stati restaurati più volte, ma l’atmosfera resta la stessa: cabine essenziali, corridoi metallici, il ponte che scricchiola sotto i passi e la brezza che porta l’odore del carburante misto all’acqua.
L’arrivo a Kigoma: approdo sulla sponda tanzaniana
Dopo giorni di navigazione lenta, scandita dal ronzio del motore e dalle soste nei villaggi, la sagoma di Kigoma appare all’orizzonte. È l’alba, e il sole si alza dietro le colline della sponda tanzaniana, tingendo il lago di riflessi dorati. Le barche dei pescatori costeggiano la nave come piccoli punti neri sull’acqua calma, mentre dal ponte si scorgono i tetti di lamiera del porto e le prime case che si arrampicano lungo la collina.

Nel 1994, l’arrivo a Kigoma aveva l’atmosfera di un approdo coloniale. Il porto era semplice, animato da uomini che scaricavano casse, bambini che correvano tra le reti, donne che vendevano frutta e pesce fritto in bilancieri di legno. Non c’erano turisti, solo viaggiatori diretti verso l’interno o missionari in transito. L’aria profumava di carbone e banane mature, e l’impressione era quella di raggiungere l’estremo lembo del mondo conosciuto.
Oggi, Kigoma è una città viva, con un centro urbano più esteso, scuole, alberghi e il terminal ferroviario della TAZARA, che la collega a Dar es Salaam. Ma il porto conserva ancora il fascino antico, con la MV Liemba che continua a ormeggiare come un ponte tra passato e presente. L’atmosfera è la stessa: il via vai di barche, i pescatori che riparano le reti, la luce morbida che scivola sul lago e le colline che si tuffano nell’acqua.
Gombe Stream Reserve: sulle orme di Jane Goodall
Nel 1994, raggiungere il Gombe Stream National Park era già di per sé un’avventura. Dal porto di Kigoma, l’unico modo per arrivarci era contrattare con i pescatori locali, tra reti e barche cariche di merci. Le trattative duravano a lungo, fatte di sorrisi, gesti e compromessi, finché si trovava un accordo. Poi la barca lasciava il molo e cominciava la navigazione lungo la costa del Lago Tanganica, un viaggio nel viaggio: la prua solcava acque blu cobalto, mentre sulle rive si alternavano villaggi di pescatori e spiagge bianchissime, dove migliaia di piccoli pesci venivano stesi al sole ad essiccare. Alle spalle, la foresta tropicale saliva ripida sulle colline, abitata da stormi di uccelli e da babbuini curiosi che si muovevano tra le fronde.

Dopo circa due ore d’acqua, si approdava a una piccola insenatura: l’ingresso del parco. Le strutture erano minime, una casermetta di cemento con qualche branda di ferro e un tavolo comune, il tutto protetto da grate e inferriate per tenere lontani i primati che non esitavano a curiosare tra le scorte. Persino la cucina era circondata da reti metalliche, come una voliera, per impedire ai babbuini di appropriarsi del cibo. L’impressione era paradossale: erano gli uomini a vivere in gabbia, osservati dagli scimpanzé tra le ombre della foresta.
Eppure, nonostante la semplicità del campo, l’atmosfera era magica e irripetibile. Questo era uno dei pochissimi tratti del Tanganica dove ci si poteva tuffare in sicurezza, senza il rischio della bilharzia. Dopo le fatiche della giornata, il tramonto infuocato sul lago e l’acqua tiepida regalavano un momento di assoluta pace, mentre dalle colline arrivavano gli echi lontani dei richiami dei primati.
Oggi, il Gombe Stream Research Centre, fondato da Jane Goodall negli anni Sessanta, è ancora il cuore pulsante della riserva. Le strutture sono state ampliate e migliorate: il piccolo centro di ricerca accoglie biologi, studenti e volontari, mentre i visitatori possono pernottare in guesthouse semplici o al Gombe Forest Lodge, che offre comfort senza intaccare l’atmosfera selvaggia del luogo. L’accesso resta comunque esclusivamente via lago, e questo contribuisce a mantenere intatto il senso di isolamento che ha reso Gombe celebre nel mondo.
Oggi le vecchie piroghe a remi hanno lasciato il posto a barche a motore, ma la traversata conserva lo stesso fascino. Lungo la rotta si vedono ancora i villaggi di pescatori che vivono di tilapia e dagaa, i minuscoli pesci argentati messi a seccare sulle spiagge. All’arrivo, i ranger e i ricercatori accolgono i visitatori con poche regole e molta passione. I trekking si svolgono all’alba, quando gli scimpanzé iniziano a spostarsi nella foresta; i gruppi sono piccoli, accompagnati da guide che da decenni conoscono ogni famiglia di primati.

Le precauzioni restano rigorose: tutto il cibo deve essere protetto e le cucine rinforzate contro i babbuini ladri, veri padroni di questo lembo di foresta. E quando finalmente, tra il fruscio delle foglie, si scorge una madre di scimpanzé che allatta il piccolo o un giovane maschio che si batte il petto tra le liane, ogni difficoltà del viaggio si dissolve. In quel momento si capisce perché Jane Goodall decise di restare qui tutta la vita: Gombe non è solo un parco, è un incontro con l’origine.
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