Nel 1993, arrivare a Tamanrasset significava approdare in una città di frontiera, spartana e polverosa, che appariva come un avamposto isolato nel cuore del Sahara. La periferia era fatta di case basse e cubi di cemento, spesso incompleti, che ricordavano baraccopoli più che quartieri residenziali. Il centro, invece, aveva un’anima più ordinata: una piazza vivace, alcuni negozietti, il souk brulicante di venditori di pugnali, croci tuareg e tessuti colorati. L’atmosfera era intensa, quasi aggressiva: appena arrivati si era subito circondati da cambiavalute e venditori ambulanti, pronti a contrattare con insistenza. Non c’erano molte strutture turistiche: pochi alberghi, piuttosto modesti, e qualche ristorante spartano. La vita scorreva lenta, scandita dal mercato e dal passaggio dei convogli di camion e fuoristrada che collegavano il nord dell’Algeria con l’Africa subsahariana.
Oggi, Tamanrasset è cambiata, pur mantenendo il suo carattere di città sahariana. La periferia si è allargata con nuovi quartieri residenziali e infrastrutture, e la città conta ormai più di 100.000 abitanti. Il centro è più organizzato, con banche, internet point, uffici turistici e agenzie che offrono escursioni verso l’Hoggar e l’Assekrem. Gli alberghi sono migliorati, anche se non ci si deve aspettare il lusso: le strutture restano essenziali, ma permettono di rinfrescarsi dopo giorni di deserto. Il souk è ancora cuore pulsante della città, ma meno “selvaggio” di un tempo: la contrattazione resta un’arte, ma i venditori sono più abituati ai turisti. Le croci tuareg, i gioielli in argento e i pugnali continuano a essere i souvenir più richiesti, insieme a tessuti e artigianato locale.
La differenza più grande è nell’atmosfera: negli anni ’90 Tamanrasset appariva come una frontiera estrema, difficile e poco rassicurante. Oggi, pur restando un luogo remoto e circondato dal Sahara più duro, ha un volto più accessibile, con servizi minimi che permettono al viaggiatore di rifiatare prima di lanciarsi sulle piste dell’Hoggar.
Da Tamanrasset all’eremo di Père de Foucault
L’obiettivo è l’eremo di Père de Foucault, a 82 km da Tamanrasset. Le piste diventano sempre più sconnesse e impegnative, e le nostre Land Rovers impiegano ben quattro ore per salire a quota 2.400 metri. Le vallate si aprono in scenari grandiosi, tra picchi vulcanici e panorami che si susseguono senza tregua. Qui, nel 1905, Charles de Foucauld decise di ritirarsi a vita eremitica, lasciando un segno profondo nella storia spirituale del Sahara.

Il rifugio accoglie i viaggiatori con semplicità: un camino, piatti caldi, couscous fumante. Ma spesso si sceglie di dormire sul pavimento in sacco a pelo, ascoltando il vento che fischia tra le rocce. L’eremo vero e proprio si trova più in alto, a 2.840 metri, accanto a una cappella e a una stanza che custodisce libri, ricordi e fotografie del padre missionario. Il tramonto visto da qui è indimenticabile: la luce che colora i picchi dell’Hoggar e la sensazione di trovarsi al centro di un paesaggio primordiale, intatto.

Quella sera il fuoco diventa punto d’incontro tra gruppi diversi: italiani, australiani, americani, giapponesi. Storie di viaggi lunghi mesi, camion adattati a case mobili, tende piantate in ogni angolo del Sahara. Risate e racconti scaldano la notte, creando una comunità effimera che il deserto, con il suo silenzio, rende ancora più intensa.
Tra le guglie dell’Hoggar: un’alba all’Assekrem
La mattina successiva, il gelo pungente non scoraggia dal salire ancora una volta fino alla cappella. All’Assekrem le notti sono sempre dure: il vento soffia incessante, le temperature scendono sotto lo zero e il respiro si condensa nell’aria. Eppure è proprio qui che avviene la magia. L’alba sull’Hoggar è uno spettacolo assoluto: il sole che lentamente accende le guglie basaltiche, la luce che scivola sulle vallate scure, l’aria rarefatta che sembra sospendere il tempo. È un paesaggio che non ha bisogno di parole, dove anche il silenzio diventa protagonista.
La cappella dedicata a Charles de Foucauld appare semplice, quasi essenziale, e proprio per questo ancora più potente. Dentro, fotografie, diari e qualche oggetto personale ricordano la vita dell’eremita francese che qui, all’inizio del Novecento, scelse di vivere in solitudine, tra i Tuareg Kel Ahaggar. Foucauld non fu soltanto un religioso: fu esploratore, cartografo, linguista. Imparò la lingua tamashek, trascrisse tradizioni orali e costruì legami duraturi con le tribù locali, lasciando un’eredità culturale che ancora oggi si respira nelle storie tramandate dai Tuareg della regione.
L’Assekrem è più di un panorama: è un luogo simbolico, in cui natura e spiritualità si intrecciano. La parola stessa significa “fine del mondo” in tamashek, e quando si guarda l’orizzonte, con il Sahara che si apre infinito a sud e le montagne nere che si ergono come cattedrali di pietra, si capisce bene il perché. Qui si percepisce la fragilità dell’uomo e, allo stesso tempo, la sua capacità di cercare un senso anche negli angoli più estremi della terra.
Dopo una colazione semplice al rifugio, fatta di pane caldo, tè e datteri, si ridiscende lentamente verso Tamanrasset. La strada ritorna polverosa, le Jeep affrontano i tornanti tra le vallate di basalto, e la città appare di nuovo all’orizzonte, rumorosa e caotica dopo giorni di silenzio. Ma l’esperienza resta scolpita: l’alba vista dall’Assekrem diventa un ricordo che accompagna ogni viaggiatore, un momento sospeso che vale quanto l’intero cammino.
Ed è qui che l’Hoggar rivela il suo segreto: non è soltanto un luogo da vedere, ma un’esperienza da vivere. Un viaggio che mette alla prova con il freddo, il vento e la fatica, e che ricompensa con panorami e incontri capaci di cambiare lo sguardo su se stessi e sul mondo.

Oggi: come vivere questa esperienza
Visitare l’Assekrem e l’eremo di Foucauld è ancora oggi una delle esperienze più significative di un viaggio nell’Hoggar. Da Tamanrasset partono tour in 4×4 di due giorni: salita il primo giorno con sosta al rifugio, tramonto e alba all’eremo, discesa il giorno successivo. Le piste sono dure, il vento forte e le notti fredde, ma la ricompensa è un panorama unico al mondo.
I costi si aggirano tra i 150 e i 250 euro per l’escursione, comprensivi di Jeep, guida tuareg, pasti e pernottamento al rifugio. È indispensabile affidarsi ad agenzie accreditate, che garantiscono i permessi e la sicurezza sui percorsi.
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