Dal cuore dell’Erg Admer all’Hoggar: la lunga marcia nel Sahara

Il nuovo anno del 1994 si apre tra le dune rosa dell’Erg Admer, il grande mare di sabbia che si stende a est di Djanet. Dopo i giorni intensi sul plateau del Tassili n’Ajjer, tra pitture rupestri e canyon di pietra, inizia la traversata verso ovest: centinaia di chilometri che collegano il Tassili al massiccio dell’Hoggar, la regione di Tamanrasset. È una marcia fatta di distese monotone e silenzi ipnotici, ma anche di incontri, paesaggi inattesi e scoperte che restano nella memoria.

Dall’Erg Admer verso la guelta di Honag

Lungo le piste dell'Erg Admer verso l'Hoggar

Oggi si percorrono circa 200-250 chilometri, una tappa “dolomitica” che ci mette decisamente alla prova. Le nostre Land Rovers avanzano regolari, macinando piste sabbiose che sembrano non finire mai. La scena fuori dai finestrini è essenziale: arbusti radi, una gazzella che scappa veloce e il vento che solleva nuvole sottili di sabbia. .

Il Sahara non è solo sabbia: qui e là emergono piccoli segni di vita, un pozzo, una carcassa, un arbusto che resiste al sole. Nelle soste si apprezzano momenti minimi: sdraiarsi su un cuscino d’erba secca, scrivere poche righe, guardare l’orizzonte senza tempo. È la dimensione che trasforma il viaggiatore in pellegrino: ogni chilometro diventa misura della vita stessa.

Honag si trova lungo una delle tappe di trasferimento tra l’Erg Admer e le piste che conducono verso Tamanrasset. È un luogo apparentemente anonimo, ma fondamentale perché ospita un raro pozzo, una “guelta” che garantisce acqua, preziosa per uomini e animali. Proprio per questa presenza, Honag è da sempre punto di sosta per carovane e gruppi in viaggio. Il campeggio si organizza nei pressi del pozzo, scegliendo aree sabbiose abbastanza pianeggianti da permettere il montaggio delle tende.

Il tramonto ci regala suggestioni particolari: la luce radente colora di oro i cespugli secchi e il cielo si accende di sfumature intense. La notte è limpida, ideale per osservare le stelle in totale solitudine. Intorno al fuoco si cena in semplicità, tra chiacchiere e il rumore del vento che fa danzare le fiamme.

Verso Tinagoula, il tempio scolpito dal deserto

Altri 175 chilometri di distese infinite. Attraversiamo i letti asciutti di oued come Ahejah e Tenechert, ricordi di fiumi ormai scomparsi, ma che un tempo scolpivano queste vallate con la forza dell’acqua. Sono cicatrici geologiche che raccontano di un Sahara verde, vissuto e fertile.

L’arrivo a Tinagoula regala una sorpresa: una formazione rocciosa che ricorda un tempio indiano. È un esempio di come l’immaginazione si accende nel deserto, dove ogni masso isolato può sembrare un castello, un animale, una scultura. Al tramonto la roccia si accende di rosso e il campo si prepara sotto un cielo caldo e limpido. La notte è dolce: attorno al fuoco le chiacchiere si mescolano al silenzio, e le stelle appaiono come mai viste prima.

La roccia di Tinagoula, nel deserto

Da Tinagoula a Youf Ahakit, anfiteatro di pietra e silenzio

La partenza è lenta, ma il paesaggio cambia subito volto: enormi blocchi di roccia emergono dalla sabbia come isole. La giornata prosegue fino a un anfiteatro naturale dove le rocce, levigate dal vento, assumono forme tondeggianti, come un’intera vallata di “panettoni di pietra”. È il Sahara che diventa scultura naturale, un gioco di geometrie senza artista.

Arrivati a Youf Ahakit, il campo si monta presto. C’è tempo per camminare scalzi sulla sabbia calda, per cucinare in gruppo, per osservare il sole calare lentamente dietro i pinnacoli. Qualcuno spera di cogliere il raro “raggio verde”, fenomeno ottico che appare talvolta al tramonto. È il deserto che regala tempo: tempo per respirare, pensare, rallentare.

Panettoni di roccia nei pressi di Youf Ahakit

Diretti a El Ghessour, la valle dell’eco

Questa è la tappa della meraviglia. Le Jeep raggiungono Tinakacheker, un’area spettacolare dove dune immense si mescolano a pinnacoli di roccia: sembrano migliaia di sentinelle piantate nella sabbia dorata. Salire su una di queste dune e scendere a rotta di collo, con il vento che spinge sabbia finissima ovunque, è un’esperienza che resta nel corpo.

Ad El Ghessour ci si accampa, ma la vera scoperta è la Valle dell’Eco. Ogni suono, ogni parola rimbalza tra le pareti rocciose, amplificato come se il deserto stesso rispondesse. È una sensazione quasi mistica: la natura che parla con la propria voce. Un luogo che trasforma la percezione del viaggiatore, ricordandogli che qui l’uomo è solo ospite.

Tinakacheker, un’area spettacolare dove dune immense si mescolano a pinnacoli di roccia

Da El Ghessour a Efae, il primo villaggio Tuareg

Oggi il deserto si mostra in una veste più piatta, meno spettacolare: una tappa di trasferimento lunga 143 km che ci avvicina lentamente a Tamanrasset. Il paesaggio è uniforme, e la giornata scorre tranquilla, quasi monotona, con la mente già proiettata all’ultima notte nel deserto.

Verso sera, però, la monotonia viene spezzata dall’incontro con un piccolo villaggio Tuareg. L’accoglienza è calorosa: i bambini corrono verso di noi, curiosi, speranzosi di qualche dolcetto, una biro o qualche regalo. La loro energia è contagiosa e restiamo incantati a guardarli giocare.

Donne Tuareg nel villaggio di Efae

Il villaggio è semplice: un insieme di capanne nel deserto. Le donne lavorano instancabili, concentrate nei loro compiti quotidiani, mentre le ragazze, belle e composte, osservano con timidezza gli stranieri. L’atmosfera è viva e genuina, un contrasto affascinante con la calma dei chilometri di sabbia appena percorsi. La notte la passiamo a pochi chilometri dal villaggio, condividendo il pasto con le nostre guide. Io spero di poter finalmente gustare il rito del tè che sul Tassili mi era sfuggito: un piccolo dettaglio che rende unico ogni incontro nel deserto.

NOTA geografica

Il massiccio dell’Hoggar ( Ahaggar )

L’Hoggar (o Ahaggar) è il grande massiccio montuoso che domina il Sahara centrale, nel sud dell’Algeria, con epicentro la città di Tamanrasset. A differenza del Tassili n’Ajjer, fatto di arenaria e pitture rupestri, l’Hoggar è un altopiano di origine vulcanica, punteggiato da guglie scure e picchi che superano i 3.000 metri, come il monte Tahat, la vetta più alta dell’Algeria. Il cuore dell’Hoggar è l’Atakor, un paesaggio quasi extraterrestre di torri basaltiche e valli profonde che si infiammano di rosso e nero al tramonto.

Qui si trova anche l’eremo di Charles de Foucauld, ad Assekrem, luogo simbolico per la spiritualità del Sahara e punto panoramico tra i più spettacolari. Per chi viaggia overland, l’Hoggar è un territorio di piste impegnative e solitarie, dove il 4×4 è indispensabile e l’orientamento richiede esperienza e guide locali. La regione è anche la culla dei Kel Ahaggar, una delle principali confederazioni tuareg, che ancora oggi mantengono un legame profondo con queste montagne. Attraversare l’Hoggar significa vivere un Sahara diverso: non solo sabbia e dune, ma montagne di fuoco e di pietra che raccontano milioni di anni di storia geologica e secoli di vita nomade.

Oggi: come vivere queste tappe

Le piste che collegano Djanet a Tamanrasset sono oggi percorse da tour organizzati in 4×4 o moto, della durata di 6–8 giorni. Honag e Tinagoula sono tappe di passaggio, ma Youf Ahakit ed El Ghessour restano mete spettacolari, incluse in quasi tutti gli itinerari. Le agenzie locali organizzano i pernottamenti in tende, pasti attorno al fuoco e visite ai villaggi tuareg.

I costi medi per una traversata simile variano tra i 600 e gli 800 euro per una settimana, comprensivi di guide, trasporti, vitto e logistica. Restano indispensabili permessi, taniche di carburante, convogli di sicurezza e la conoscenza delle piste da parte di guide esperte.

Consiglio Overland

Chi viaggia in autonomia deve considerare questa tratta come una delle più impegnative del Sahara algerino: sabbia soffice, piste mutevoli, insabbiamenti frequenti. Servono almeno due veicoli, piastre, pala, GPS aggiornato e tanta esperienza. Qui il confine tra avventura e rischio è sottile: affidarsi ai Tuareg significa guadagnare non solo sicurezza, ma anche la possibilità di ascoltare storie e leggende che nessuna mappa potrà mai raccontare.

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